Evidenze di ricerca mostrano come le ricompense, tangibili o anche solo verbali, limitano molto il potenziale di apprendimento. Ecco le alternative evolutivo-relazionali per far fiorire la crescita.
Risorsa a libero accesso
Ron Brandt, educatore, è stato Direttore della rivista Educational Leadership, autore di numerosi libri sull’importanza educativa per lo sviluppo del pensiero critico e l’apprendimento a scuola, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per l’alto valore del suo lavoro.
Alfie Kohn, autore di numerosi libri sull’educazione, la genitorialità e il supporto all’apprendimento nell’essere umano, muove una revisione critica della gestione comportamentale del bambino alla luce delle evidenze di psicologia evolutiva e scienze sociali.
Traduzione italiana ed edizione per DIRimè Italia a cura cura della dott.ssa Giulia Campatelli, psicologa psicoterapeuta, ICDL DIR204 DIR Expert Provider & Training Leader
Leggi il lavoro originale qui
Ottobre 2020
Risorsa a libero accesso
Estratto dell’intervista svolta durante la conferenza annuale ASCD il 27 Marzo 27 1995 a San Francisco.
Come educatori possiamo utilizzare spesso il concetto di punizione ma siamo giunti alla conclusione che non sia un motivatore efficace. Siamo stati convinti ad utilizzare le ricompense invece. Ma ora arrivi tu a dirci che anche queste sono sbagliate. Perché?
Innanzitutto, mettiamoci d’accordo sulla premessa necessaria: la punizione è distruttiva. Molti sembrano pensare che se la chiamiamo “conseguenza” o se inseriamo un modificatore “logico” allora vada bene. La “conseguenza logica” è l’esempio di cosa io intendo invece come “punizione dolce”, una modalità più gentile di far cose al bambino invece che lavorare con il bambino.
Detto questo, parliamo adesso delle ricompense. Ricompense e punizioni sono entrambi modi di manipolazione del comportamento. Sono due forme per fare cose all‘altro. E in questo senso, la ricerca ci dice che è controproducente dire ai ragazzi “Fai questo altrimenti io farò quest’altro” così come dire “Fai questo e otterrai quest’altro“. Questo processo è stato chiamato anche “controllo attraverso la seduzione”.
Quindi le ricompense sono indesiderabili tanto quanto le punizioni?
Essendo meccanismi di controllo, a lungo termine sono entrambi a rischio di essere vissuti dal bambino come esperienze avversive. Il motivo è semplice: se un bambino può volere la ricompensa di per sé, nessuno di noi ama vedere i propri desideri utilizzati come manipolatori per controllare il nostro comportamento. E’ la contingenza del premio – “Fai questo e ti darò quest’altro” – a testimoniare il suo intento globalmente punitivo.
Secondo te è il caso anche di bambini che trovano una certa attività gratificante di per sé?
Le ricompense sono tanto più dannose quanto l’attività è di per sé intrinsecamente motivante per il bambino. Introducendo una motivazione estrinseca, si perde molto la spinta motivazionale intrinseca; se fai qualcosa di noioso, il tuo livello di interesse può essere già al minimo. Ciononostante, quando l’attività non è interessante, questo non ci autorizza a interagire con i bambini come faremmo con i nostri animali domestici. Piuttosto, dobbiamo valutare l’attività stessa, il contenuto del nostro programma, e vedere come renderlo più coinvolgente. Indipendentemente da cosa facciamo, ad ogni modo, una delle evidenze più ricorrenti della psicologia sociale è che più si viene ricompensati per fare qualcosa, meno interesse avremo per quella attività.
In Punished by Rewards, citi molti dati di ricerca su questo. Non si tratta quindi del tuo pensiero personale.
Esatto. Ci sono molti studi che mostrano come i motivatori estrinseci – inclusi i buoni voti, le lodi e le altre ricompense – non solo sono estremamente inefficaci a lungo termine ma diventano addirittura controproducenti sui processi che ci stanno più a cuore: il desiderio di apprendere, l’impegno su valori positivi. Molti studi indicano anche come l’offrire ricompense in attività che richiedono problem solving e creatività – o ricompensare per raggiungere buoni risultati – porti a una qualità più bassa del lavoro svolto rispetto alla prestazione di persone che non hanno ricevuto ricompense estrinseche.
Sembra l’opposto di ciò che avviene nel quotidiano. Siamo tutti abituati a ricevere ricompense e a darne. Come educatori, pensiamo che sia giusto solo offrire ricompense: i bambini che fanno bene, vanno premiati.
Ciò che serve ai bambini sono programmi coinvolgenti e un’atmosfera valorizzante e accogliente in cui poter dar sfogo al loro naturale desiderio di scoperta. Nessun bambino merita di essere manipolato con fattori esterni per aderire alle istruzioni fornite dagli altri.
E’ un dato importante quanto spesso gli educatori usino la parola “motivazione” per indicare invece la compliance. Uno dei miti radicati in quest’area è che sia possibile motivare qualcun altro. Ogni volta che vi imbattete in un articolo, o un seminario, dal titolo “Come motivare i vostri studenti“, raccomando caldamente di passare oltre. Non è possibile motivare dall’esterno qualcun altro, per cui trattare la questione in questo modo significa in realtà parlare di strumenti di controllo.
Inoltre, la motivazione è l’elemento di partenza dei nostri bambini. Non occorre negoziare con un bambino piccolo perché vi mostri come sa contare bene o come sa riconoscere i cartelli stradali. Ma la ricerca mostra a metà – e certamente entro la fine – della scuola elementare, la motivazione intrinseca del bambino inizia a scemare – con una straordinaria coincidenza con il momento esatto in cui iniziano ad apparire i voti accademici.
Di certo è irrealistico aspettarsi che i programmi scolastici siano intrinsecamente motivanti per ciascun bambino. Ci sono alcune attività sui cui i bambini devono per forza sgobbare, no?
Un certo bambino sarà più interessato ad un’attività rispetto ad un’altra, ma qui non stiamo parlando di scrivere sulla lavagna e aspettarsi che il bambino salti sulla sedia dicendo “non vedo l’ora di saperne di più!“
L’insegnamento capace richiede la facilitazione del processo in cui i bambini imparano a mettere a fuoco idee complesse – e queste idee complesse, come ci dice John Dewey, devono necessariamente nascere dagli interessi e le preoccupazioni spontanei e quotidiani dei bambini. Alla domanda “E’ più grande 5/7 o 9/11?” la risposta corretta è “chi se ne importa” ma i bambini, ad esempio, prestano invece molta attenzione al proprio ritmo di crescita. In questo contesto, l’abilità che serve per rispondere alla domanda diventa oggetto di interesse per molti bimbi. “Quale differenze c’è tra una similitudine e una metafora?” stessa risposta; solo pochi tra noi troverebbero la distinzione di per sè interessante – ma i bambini sono solitamente interessati a scrivere storie di dinosauri, ad esempio, o di viaggi spaziali. Nell’ambito di interesse dello studente, quindi, le abilità specifiche possono essere insegnate senza edulcorazioni, imbrogli o giochetti e, sopratutto, senza dare ai bambini ricompense per aver fatto ciò che abbiamo detto loro di fare.
Parliamo adesso delle lodi, elementi critici in quanto ricompense intangibili. Se dico ad un collega che ha fatto un gran lavoro, sto dando una ricompensa?
Domanda interessante, vorrei che più educatori se la ponessero.
Il feedback positivo che viene percepito come un’informazione non è dannoso di per sé e può essere in realtà costruttivo, parlando dal punto di vista educativo. L’incoraggiamento – l’aiutare le persone a sentirsi apprezzate affinché il loro interesse nel compito sia raddoppiato – non è necessariamente una cosa negativa. Ma molte delle lodi date ai bambini arrivano in forma di ricompensa verbale che può invece avere lo stesso impatto negativo delle altre modalità di ricompensa: se vengono percepite come controllo, plasmano la la relazione tra adulto e bambino – e tra i bambini stessi – minando l’interesse autentico.
Non è una coincidenza che i programmi di disciplina coercitiva si basino largamente sull’aumento della compliance attraverso l’uso massiccio della lode. Un esempio tipico è l’insegnante delle scuole elementari a cui è stato insegnanti di dire: “A me piace Cecilia che sta seduta composta e attenta“.
Perché?
Innanzitutto, l’insegnante non ha fatto nessun piacere a Cecilia. Possiamo immaginarci facilmente come sia probabile che qualche bambino vada da Cecilia, dopo la lezione, per chiamarla “cocca della maestra”.
In secondo luogo, l’insegnante ha trasformato un’esperienza di apprendimento in una questione di vittoria. Ha introdotto la competizione nella classe e adesso il punto è vedere chi è il più composto, il più attento, il può silenzioso – e il resto della classe finisce dimenticato.
Terzo punto, è un’interazione manipolativa. L’insegnante finge di parlare a Cecilia ma in realtà sta usando Cecilia per manipolare il comportamento degli altri in aula – e si tratta di qualcosa di spiacevole da fare verso altri esseri umani.
Quarto punto, e probabilmente il più importante, vorrei riflettessimo sulla parola più importante usata dalla maestra in quell’espressione. Credo che sia il soggetto utilizzato, “a me“. Ammesso anche che una pratica simile funzioni, ha funzionato solo nel portare la classe a preoccuparsi di cosa piace a me, del mio punto di vista, senza considerare le ragioni per cui avrei chiesto a Cecilia di fare o non fare qualcosa. Cecilia non è aiutata di una virgola nel riflettere su come la sua esperienza abbia un impatto su quella degli altri in classe o su che tipo di persona vuole essere.
In un ambiente dominato dalle conseguenze, i bambini sono portati a pensare “Cosa vogliono che faccia e cosa mi succede se non lo faccio?” e ancora “Cosa ottengo se lo faccio?“. Come educatori dovremmo invece incoraggiare domande come “Come vorrei che fosse la mia classe?” e “che persona voglio essere?”.
E per gli alunni con minor successo? Molti educatori sentono di dover lodare maggiormente questi bambini. Hanno bisogno di sentirsi lodati per i più piccoli progressi.
Nessuna evidenza di ricerca supporta l’idea che lodare i bambini per i progressi nelle abilità stabilite dall’adulto, li aiuti a sviluppare un senso di competenza. Al contrario, lodare per il successo in compiti relativamente semplici porta i bambini a non sentirsi tanto svegli. Generalmente, più spingiamo il bambino a fare qualcosa per la ricompensa, che sia tangibile o verbale, più vedremo una diminuzione del suo interesse alla prossima occasione di farla. Ciò è dovuto in parte perché la lode, o la ricompensa, è di per sé uno strumento di controllo, ma anche perché induce il bambino a pensare “mi premiano perché dev’essere un’attività che non dovrebbe piacermi, altrimenti non mi darebbero premi o complimenti“.
Si tratta di un messaggio che in molti non saranno ansiosi di cogliere. Sembra andare contro l’esperienza quotidiana.
Va contro e non va contro, in realtà. Ad esempio, spesso i genitori vengono e mi dicono “Sai, è buffo che tu lo dica, perché proprio ieri ho chiesto a mio figlio di sparecchiare la tavola e lui ha detto ‘Cosa mi dai in cambio?’ “. Ciò che trovo notevole non è ciò che il bambino abbia detto, ma che il genitore me lo dica aspettandosi che io scuota la testa e critichi i bambini di oggi. Cosa invece voglio chiedere è “Dove credi che il bambino abbia imparato a barattare così?” e di solito a quel punto le persone intuiscono.
C’è addirittura uno studio attuale di ricerca svolto in Missouri che mostra come alla domanda “Credi che le ricompense portino a un interesse maggiore o minore nel compito?“, gli studenti universitari hanno risposto sbagliando. Ma non appena sono stati spiegati i risultati della ricerca, tutti riconoscono la propria esperienza personale. Molte persone hanno fatto qualcosa solo per l’amore di farlo – fino anche non hanno iniziato a ricevere un compenso. Dopo, pochi sognano di continuare a farlo senza esser pagati. Il fenomeno per cui i motivatori estrinseci causano la perdita di motivazione spontanea e intrinseca forse non è noto a tutti ma è un’esperienza non lontana dalla nostra consapevolezza quotidiana.
Tutto sommato, è un modo di vedere le cose diverso. Ad esempio, a me piace quando le persone mi riconoscono un risultato.
Sì, certo. Tutti vogliamo essere apprezzati incoraggiati e amati. La domanda è se questo bisogno deve necessariamente prendere la forma di una pacca sulla spalla che ci dice “bravo ragazzo” – non potrei fare a meno a quel punto di rispondere “Bau!“.
Molti adulti hanno difficoltà nell’autovalorizzazione e dipendono largamente dal riconoscimento esterno del valore delle proprie attività e risultati. E’ questa la conclusione logica dell’esser stati educati con le lodi. E’ tempo di trovare modalità più rispettose e stimolanti per condividere la nostra opinione piuttosto che una quantità di ricompense verbali.
Mi colpiscono spesso gli insegnanti che vengono da me e mi dicono “Non capisci l’ambiente che hanno a casa questi bambini; a volte hanno esperienze di abuso o negligenza e tu mi dici di non lodarli?“, la mia risposta è “sì“. Ciò di cui hanno bisogni questi bambini è il supporto incondizionato, l’incoraggiamento e l’amore. La lode non solo è un qualcosa di diverso ma spesso è l’opposto. La lode veicola il messaggio “salta nel cerchio come ti dico di fare, e ti dirò quanto sei bravo e aumento sono fiero di te” . Naturalmente, parlando di feedback positivo si tratta di sfumature, giusta enfasi e comunicazione concreta. Non si tratta di voti, stelline dorate, esclamazioni o premi.
Uno dei miti che alimentiamo che è intorno alla nostra testa ci sia un’entità singola chiamata “motivazione” e che ciascuno di noi ne possegga di più o di meno. E che naturalmente l’obiettivo sia aumentarla attraverso le lodi, le stelline dorate, i voti accademici, i premi e il gelato. La verità è che ci sono modalità qualitativamente diverse di motivazione. Occorre smettere di chiedersi “Quanto sono motivati i miei alunni?” e chiedersi piuttosto “Come sono motivati i miei alunni?”.
Cosa suggerisci in alternativa?
Ci sono tre elementi centrali, parlando di motivazione:
- Il Contesto: ho fornito al bambino qualcosa che valga la pena di apprendere?
- La Comunità: dobbiamo supportare l’apprendimento cooperativo ed aiutare i bambini a sentirsi parte di un ambiente sicuro in cui possono sentirsi liberi di preoccuparsi uno dell’altro e in cui non vengano manipolati dell’adulto per condividere e comportarsi bene
- La Scelta: assicuriamoci che i bambini siano incoraggiati a pensare a ciò che fanno, come verso chi e perché. I bambini imparano a fare la scelta giusta non seguendo indicazioni ma sperimentando la presa di decisione.
Se una scuola segue autenticamente questi tre principi, creerà un ambiente in cui non servono affatto punizioni e ricompense.