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Dimmi la tua diagnosi e ti dirò come parlo di te

Contro la malattia la retorica della battaglia non serve

Non importa chi tu sia, di cosa ti occupi e in cosa ti impegni. Se sei malatə, ti verrà chiesto di essere fonte di ispirazione parlando solo di sofferenza ma senza mai farti vedere sofferente.

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Febbraio 2025

Dott.ssa Giulia Campatelli, Psicologa Psicoterapeuta, ICDL DIR204 DIR Expert Provider & Training Leader

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La narrativa della malattia (e della disabilità) che schiaccia l’identità personale

Non importa se sei una supermodella affermata internazionalmente, co-conduttrice del più importante evento televisivo nazionale dell’anno, in diretta in prima serata su uno dei maggiori canali italiani e introdotta da professionisti noti e di lunga esperienza: se hai una diagnosi, quella detterà come parleranno di te.
Bianca Balti, supermodella e co-conduttrice della seconda serata di Sanremo, aveva specificato di non voler parlare della propria condizione di salute durante la sua partecipazione al Festival.  Invece, è esattamente ciò che è stato fatto da tutto il sistema mediatico. Il direttore e coduttore principale Carlo Conti l’ha annunciata sul palco col titolo di “mamma e guerriera”, i giornali hanno ripreso la notizia della sua partecipazione citandola con il solo nome di battesimo e dedicando ampio spazio  alle cicatrici post-operatorie. La stessa assenza di una parrucca è stata oggetto di commenti giornalistici con l’enfasi su espressioni come “una scelta coraggiosa”, a sottolineare come nella malattia una donna debba sopratutto preoccuparsi per il mantenimento inalterato proprio aspetto estetico.

Non importa chi tu sia. Non importa di cosa ti occupi e in cosa ti impegni. Se sei malatə, sei responsabile del decorso clinico (vinci la tua battaglia oppure la stai perdendo?), devi mostrare fragilità ma coraggio, saggezza e profondità ma anche attenzione al tuo aspetto estetico. Devi inoltre mostrarti fonte di ispirazione, gentile, sorridente mentre devi necessariamente sempre citare i sintomi e le limitazioni, a cui però non devi cedere, che la malattia ti impone. In pratica, devi parlare solo di sofferenza senza mai farti vedere sofferente. 

La FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, afferma che “siamo passati dallo stigma sulla malattia ad una stigmatizzazione della cura” con la narrativa della chemioterapia in prima linea a imporre come presentarsi e come parlare, e come accettare che si parli di sè, alle persone malate oncologiche. Va bene quindi adesso poter parlare di malattia ma a patto che sia di ispirazione per le persone sane e fonte di rassicurazione: la persona malata deve mostrarsi forte e battagliera, positiva, bella come prima. Per non spaventare. Ma allo stesso tempo, alla persona malata si chiede solo quello: esprimersi soltanto a proposito del proprio stato di salute. 
Eppure Michela Murgia, scrittrice e giornalista famosissima nel nostro Paese, aveva impiegato i suoi ultimi mesi di vita proprio a smantellare questa narrativa: “Contro la malattia la retorica della battaglia non serve” scriveva. Serve pensare la malattia, e la disabilità, come parti di normalità. Serve dar voce alle persone malate e alle persone disabili nei tantissimi campi in cui le loro competenze e le loro passioni si esprimono e non univocamente nella dimensione della propria diagnosi. Serve dar loro voce lasciando libertà di raccontarsi come meglio si crede e non imponendo un modello di successo, seppur fragile ma comunque esteticamente bello da vedere.
Vogliamo cogliere l’occasione per riflettere insieme su quanto sarebbe immensamente più arricchente per tuttə ripensare le modalità con cui parliamo di disabilità, di malattia, di diversità in modo che le persone possano scoprire competenze e mondi interiori che vanno assai olter le mura dei reparti diagnostici così come racconti di malattia in cui ritrovarsi senza pressioni alla normalità imposte.
Contro la malattia la retorica della battaglia non serve
Foto credit: Daniele Venturelli/Getty Images